.. rompere con il mito della galleria riservata a pochi iniziati e cercare di abolire, a poco a poco, quella specie di strano, impenetrabile diaframma, fatto insieme di diffidenza e timidezza, che separa ancora gran parte del potenziale pubblico dal gallerista ..

Alf Gaudenzi, I tre alberi, collage, 1973

Non si può raccontare la storia della galleria Il Vicolo senza raccontare la storia delle persone che l’hanno creata e fatta crescere negli ultimi quarant’anni. In questa storia ci sono tre persone: Alf Gaudenzi, sua moglie Piera e la figlia Ambra. E nessuna di loro alla domanda “cosa vuoi fare da grande?” avrebbe risposto “aprire una galleria d’arte”. Alf era nato a Ruta di Camogli nel 1908 da una famiglia di musicisti: il padre, di origini lombarde, era pianista e direttore d’orchestra; la madre, marchigiana, allieva prediletta di Mascagni, aveva imparato a suonare il violino prima per diletto, come tante figlie della buona borghesia di allora, poi per lavoro, quando la famiglia di idee socialiste, appoggiando la causa dei propri lavoratori si era ritrovata in ristrettezze economiche. Così Alf, insieme al salino ligure, fin da bambino respira profumo d’arte e giovanissimo diventa pittore, poi ceramista, aderendo al secondo futurismo di Fillia, quindi, dal 1945, giornalista all’Unità. Al circolo della stampa di Genova, di cui è segretario, Alf, durante un concerto conosce Piera. Piera ha diciotto anni, proviene da una famiglia agiata della campagna del basso alessandrino e si è trasferita da poco a Genova; ha portato con se la malinconia delle nebbie invernali e la voglia di imparare a volare, la capacità di guidare un camion carico di bestiame e la passione per Pavese e la scrittura. Alf si innamora di questa ragazza forte, sensibile e incurante della propria bellezza, che inforca gli occhiali per vedere meglio i quadri di cui le parla e Piera si innamora prima dello spirito dell’uomo e subito dopo dell’uomo. La galleria nasce qui, da questa unione.

Alf con l’amico Ghirardo, 1930 circa.

Alf con il pittore Dino Gambelli, 1940 circa.

Alf sull’idrovolante all’idroscalo di Genova, 1932

Alf, To.El., 1933

Alf e Piera, 1956

Piera a San Giuliano Vecchio, 1951

Piera sulla Topolino, 1948

Ma non subito, prima c’è la chiusura dell’Unità genovese e la decisione coraggiosa, immediatamente appoggiata da Piera, di aprire un laboratorio di ceramica, a Manin, nello studio che era stato di Emilio Scanavino. Lì oltre ad imparare la ceramica, Piera impara che la ceramica bisogna anche saperla vendere, lei convinta che mai e poi mai nella vita avrebbe mercanteggiato alcunché. Poi c’è la nascita di Ambra, che nella vita vuole fare la ballerina, la scrittrice, l’archeologa e intanto in casa sfoglia i suoi primi libri illustrati, con le riproduzioni di Bosh, Grotz e Picasso. Alf, a causa della polvere di ceramica si ammala e il laboratorio viene chiuso. Solo quando a lui e a Piera capita di dirigere insieme la galleria Sabatelli, Alf ha l’idea di aprirne una propria. Lui ne è convinto, Piera meno, anzi è decisamente spaventata.

Alf e Piera nello studio di Manin, 1960

Ma l’idea prende forma: dev’essere una galleria piccola, rivolta non ai grandi, ma ai piccoli collezionisti. E questo per due motivi: il primo è che quando aprono la galleria, Alf e Piera partono economicamente da zero e non possono permettersi investimenti, la seconda è la convinzione che l’arte debba essere alla portata di tutti. Alle origini del Vicolo, quindi, un vincolo economico ed un’aspirazione morale, insieme ad una grande passione per le tecniche alternative all’olio che per Alf hanno un’origine legata all’attenzione verso le esperienze delle avanguardie e più specificamente al Futurismo: grafica, collage, arti applicate e tecniche di stampa portano alla decisione di indirizzare il lavoro della futura galleria alle opere su carta e in particolare alla stampa d’arte moderna e contemporanea. Per di più in Italia le gallerie specializzate in questo settore sono pochissime e a Genova sarebbe la prima. Il luogo prescelto per la nuova galleria è il centro storico di Genova. La scelta cade su un piccolo negozio stretto e lungo, ancora ingombro di scatole di scarpe della precedente attività con una scaletta che porta al soppalco. È in Salita Pollaiuoli, uno dei vicoli che dal centro moderno si addentrano nella città antica; intorno ci sono i vecchi bar da biancoamaro e uova sode, macellerie, tripperie e, in fondo, un pollivendolo con i polli vivi nelle gabbie. Nella piazzetta di fronte, anche un basso con una signora, ultima memoria di un Vico Lavezzi ricordato ancora con qualche nostalgia dal genere maschile. La città vecchia non è il luogo ideale per uno spazio che vuole rivolgersi al pubblico, è considerato pericoloso e i genovesi stessi lo conoscono poco.

Ma Alf, oltre ad amare sua moglie, ama moltissimo la sua città, è convinto che il centro storico sia il posto giusto, che le città cambiano e che anche questa parte della città cambierà e che comunque chi cerca arte sia più anticonformista degli altri e pronto ad affrontare il “pericolo” dei vicoli. Il nome è una conseguenza obbligata: il Vicolo è nei vicoli e assomiglia ad un vicolo. La notte del 6 novembre 1967 Piera non chiude occhio. Il giorno dopo Il Vicolo viene inaugurato.

L’ingresso della galleria Il Vicolo

Il Vicolo Uno è nato nel novembre del 1967 come prima galleria a Genova dedicata alla grafica d’arte. Fino a quel momento le gallerie genovesi trattavano le incisioni e le litografie come merce di seconda mano, da tenere in magazzino o, nel migliore dei casi, da esporre una volta all’anno (..)
Noi abbiamo considerato la grafica artisticamente , sullo stesso piano della pittura e della scultura (come è ormai ammesso da tutti) svolgendo un’opera di divulgazione seria e meditata.

                                                           Alf Gaudenzi

                                                                     

Dépliants della galleria, fine anni Sessanta
G.Korompay, Senza titolo, 1960 circa, acquaforte
Lo sgabello scaletta
G.Capogrossi, Senza titolo, litografia
Articoli usciti in occasione dell’inaugurazione della galleria, 1967

 

Se non ci sono possibilità economiche, non c’è neanche quella di produrre cataloghi; inoltre, la politica della galleria, poi sempre mantenuta prevede che gli artisti siano ospiti e non debbano sostenere nessuna spesa. Alf imposta così un dépliant in bianco e nero, di un formato lungo e stretto che ricorda la forma della galleria e comincia a numerarli.
Il numero uno è dedicato ad una collettiva di grafica di cui fanno parte una serie di litografie scampate all’alluvione di Firenze del 1966 di Calder, Capogrossi, Carrà, Fazzini, Greco, Guttuso, Magnelli, Moore, Moreni, Pomodoro, Scanavino, Severini, Sherman, Soffici, Treccani. Piera e Alf, pur con caratteri diversi, sono due persone appassionate. Hanno in comune la passione per la vita, per l’arte e per la politica. E la passione del lavoro come scelta di vita.

 



I compiti sono distinti: Alf, da casa, organizza le mostre, Piera in galleria tiene i rapporti con il pubblico. Il piano che affaccia sulla strada è la parte espositiva e come unico arredo ha un tavolino ribaltabile e una scaletta che ripiegata diventa uno sgabello. Su questo sgabello si fondano la filosofia di lavoro di Piera e forse il successo della galleria: aperto serve per appendere i quadri, chiuso diventa la seduta di Piera. È senza schienale e aiuta a tenere desta l’attenzione e la schiena dritta, guai pensare a una semplice sedia, figuriamoci una poltrona. Al piano superiore, cui si accede da una piccola scala di legno, il deposito con un tavolo e tanta carta da pacchi: non si sa mai che si venda qualcosa e la si debba incartare. La piccola galleria inizia a trovare una sua collocazione in città. Succede quello che Alf aveva previsto: tanti appassionati d’arte con scarse possibilità economiche.

Poi succede un’altra cosa: Piera acquista una serie di quadri dell’artista futurista Fillia. Alf, che ai tempi del Secondo futurismo aveva lavorato con Fillia a Torino, è convinto del valore dell’artista: se non fosse morto giovane, dice, sarebbe stato uno dei protagonisti del dopoguerra; ed è anche convinto, nonostante al momento sia poco considerato, se non addirittura disprezzato, che tutto il Futurismo sarà rivalutato e riconquisterà un posto importante tra le avanguardie artistiche del Novecento. Ma Piera, pur consigliata da Alf, ha agito d’impulso: dove mettere questi quadri, qualcuno anche di notevoli dimensioni? La galleria è troppo piccola, la casa anche.

Oggi si parla di pianificazione, di business planning, piano strategico, ma se Alf e Piera decidono di ampliare la galleria il motivo è che non sanno dove mettere i quadri. La scelta cade su un appartamento di fronte alla galleria, un’ex tintoria al primo piano. Le finestre danno sulla piazzetta e una su Palazzo Ducale; un peccato usarlo come deposito, perché non pensare ad una seconda galleria? Così nel 1969, nasce la quadreria. Da questo momento l’attività si sviluppa su due livelli paralleli: nella piccola galleria al piano strada proseguono le mostre di grafica, nella quadreria le mostre di pittura, centrate soprattutto sul Futurismo. Sono di questi anni le mostre di Fillia, Dottori, Crali, Diulgheroff, Mino Rosso, oltre ad esposizioni collettive con Balla, Depero, Boccioni. Collateralmente si seguono artisti di area più figurativa o informale. Nascono anche le prime edizioni d’arte, grazie alla collaborazione con Shell, che ha sede a Genova e vengono progettate delle cartelle di grafica da proporre ai dipendenti della società.

Flavio Costantini, Edicola di Santa Caterina in Piazza Pollaiuoli.
Digital art print, 2006, Edizioni Il Vicolo

 
 

Cogliamo inoltre l’occasione per rivolgerci ai reggitori delle sorti della nostra città e ai dirigenti dei vari enti interessati al suo rilancio e a chiedere che Genova voglia organizzare, oltre alle mostre del ‘600 e del ‘700, manifestazioni di arte contemporanea le quali, se ben realizzate, non è vero che non attraggono l’interesse del grande pubblico.

                                                            Alf Gaudenzi

Sono i primi anni Settanta e nel mondo stanno succedendo tante cose. Piera affronta l’impegno civile e politico nel modo in cui affronta il lavoro, con volontà e passione: collabora  a una mostra a sostegno della liberazione della Grecia a dai colonnelli e si ritrova in porto, unica donna tra tanti portuali, a far sbarcare da una nave greca un giovane altrimenti destinato al carcere in Grecia. La galleria alterna le tele di Corpora alle incisioni di Durer; i sugheri di Crippa alle xilografie di Kupka, i disegni assonometrici dell’architetto Sartoris alle acqueforti di Bartolini, le sculture di Leo Lionni alle “maniere nere” di Avati.

Per distinguere le gallerie, la prima diventa Vicolo Uno, la seconda Vicolo Due. Piera adesso è sempre al Vicolo Due; ha il suo ufficio, una scrivania e finalmente lo sgabello-scaletta è stato sostituito: ora siede su un cubo di legno e da lì accoglie tanto l’armatore, quanto l’impiegato, a loro volta costretti a un’ascetica seduta su un altro cubo di legno. Alf, a causa della malattia, lavora sempre da casa, in galleria viene per allestire le mostre, per le inaugurazioni e il sabato, quando nel pomeriggio si riempie di amici e artisti che passano dal Vicolo per fare due chiacchere e si fermano per ore: coppie di giovani collezionisti, amici di vecchia data e artisti come Mangini, Bozzano, Borella, Damico, Chianese, Caminati, Basso, Bassano.

 

Piera con André Verdet in occasione della sua personale, 1974
Allestimento della mostra di incisioni di Mario Chianese, 1972

Nel frattempo Ambra è cresciuta. Mentre a scuola impara l’arte greca, dal padre impara che le piscine vicino a casa sono un bell’esempio di architettura razionalista e che i mosaici interni sono di Fillia, che imparare le lingue è importante perché il mondo non è poi così grande, che senza i libri e la musica è difficile vivere. Ed è cresciuta in una famiglia dove non si parla di denaro se non per i bisogni degli altri, dove Marx va a braccetto con San Francesco e dove a volte con le ultime mille lire ci si ritrova tutti e tre al cinema, tanto “poi domani si vedrà”.

Ambra con il costume da ambasciatore URSS realizzato insieme al costume da ambasciatore USA, su disegno di Alf, per il carnevale del Circolo della Stampa di Genova, 1960
Roberto Crippa, Ore drammatiche, collage e sughero su tavola, 1961

Ma Alf ha un’altra idea su misura per lei: siamo nel 1973 e per una figlia giovane ci vuole una galleria nuova con proposte nuove, in cui l’arte non abbia confini con le altre arti e sia aperta a materiali diversi. Nasce la terza galleria, a pochi passi dalle prime due: era una tripperia  e le pareti piastrellate lo dimostrano inequivocabilmente. Una mano di colore alle piastrelle, una serie di scaffalature e di pannelli e lo spazio nuovo è pronto, una via di mezzo tra una galleria d’arte e una “bottega”: il Vicolo Tre.

Ambra si ritrova fra i gioielli di Arman e César, i multipli di Man Ray e di Allen Jones, gli arazzi di Laura Vegas e di Daniele Sulewic, le ceramiche di Maillard e Gambone, le cartapeste della Calì, le ardesie di Ferraris, le anatre di terracotta di Saccorotti, mentre la galleria si ritrova piena di ventenni amici di Ambra che, nel pomeriggio, in alternativa a Giavotto, si danno appuntamento al Vicolo. Alf, Piera e Ambra si trovano a lavorare insieme, quasi in armonia. Il quasi significa che mentre Piera e Alf, nonostante i vent’anni di differenza, sono in sintonia da sempre, Ambra, in quanto figlia, contesta. Contesta in casa, per quel poco che la famiglia gliene può dar motivo e contesta fuori. Il che le impedisce, tra un collettivo e l’altro, di organizzare la sua prima mostra, una raccolta di litografie di Otto Dix sul Vangelo secondo Matteo e di decidere che la passione per la fotografia si può esprimere anche mettendo in mostra le foto degli altri piuttosto che le proprie. Inizia così una stagione di mostre fotografiche, le prime a Genova di grandi fotografi, da Sutcliffe a Giacomelli, da Avedon a Fontana e di artisti come Giosetta Fiorani con il suo drammatico “Atlante di medicina criminale”.

Claudio Mariani, Anelli-scultura, oro, 1972
Arman, Tea for two, 1986
Vincent Maillard, Senza titolo, scultura in terracotta, 2004

Ambra all’inaugurazione del Vicolo Tre, 1973

La galleria è ormai avviata nei suoi spazi. Gli artisti si susseguono: l’inquieto Franco Angeli con la mostra tutta di grandi quadri neri con l”half dollar“, il raffinato Saccorotti con le sue acqueforti e le ciotole in ceramica posate su una stuoia, il poeta Verdet che balla in galleria, il solare Luzzati con i disegni dei cartoni animati, la tormentata Gambaro e i bozzetti di delle sue scenografie , il complesso Dellepiane che  utilizza uno scantinato della piazza per una performance. A volte succede di inaugurare tre diverse mostre contemporaneamente e alcune delle mostre richiedono allestimenti particolari. Ambra impara le tecniche dell’allestimento dal padre e dagli artisti che espongono in galleria. Soprattutto impara da Luzzati che lo spazio si può trasformare da un giorno all’altro colorando la galleria da bianca a nera il giorno prima dell’inaugurazione perché, come dice lui, ” ogni volta sembra che non ci si riesca, poi alla fine ci si riesce sempre, tanto se mai si va avanti anche di notte finché non si finisce”. E con la mostra del 1976 Emanuele Luzzati “Illustrazioni, scenografie, e cartoni animati” la galleria si trasforma davvero: il Vicolo Tre, che ha le vetrine che danno sulla strada, diventa una piccola sala cinematografica dove vengono proiettati i film d’animazione a ciclo continuo. È stata allestita con un telone per proiezioni e una serie di panchette basse e per un mese si riempie di bambini, molti dei quali della zona che si presentano tutti i pomeriggi; le vetrine, giorno dopo giorno, si riempiono di disegni coloratissimi dei bambini, fino a diventare simili alle vetrate di una chiesa. Secondo il metro di giudizio dei Gaudenzi e di Luzzati, una mostra di grande successo. E resterà per tutti un successo, nonostante per due volte i proiettori vengano rubati dai fratelli più grandi dei bambini (uno verrà recuperato dopo un giro di Piera nei bar delle vicinanze e grazie alla stima che un famoso ladro gentiluomo del centro storico nutre per quella donna indomita).

 

Sandro Lorenzini, Giostra, terracotta policroma, 1975
Salita Pollaiuoli e le vetrine del Vicolo Tre, 1973

César, gioiello-scultura, oro e pietre, 1972
Inaugurazione Vicolo Tre, mostra di Claudio Mariani, 1973

La mostra di Luzzati è voluta da Alf, che lo stima come amico, come scenografo e illustratore. Alf è stato a sua volta scenografo e illustratore e ha sempre pensato che i confini tra arte e arti applicate fossero spesso labili e il grande interesse suscitato dalla mostra di Luzzati ne è la conferma. Sarà di pochi mesi dopo una magnifica mostra di illustrazioni di libri per bambini e l’avvio di un’attenzione costante al mondo degli illustratori.

Nell’aprile del 1980 muore Alf. Gli ultimi anni li ha dedicati alla preparazione di una mostra dei suoi lavori che si terrà in galleria e alla stesura di un libro autobiografico, A Genova gli operai non ridono. Il giorno dopo la morte di Alf Piera stacca i cartellini “chiuso per lutto” dalle saracinesche e apre la galleria: questo è il suo posto e la sua vita, precedente e futura. Il lavoro continua anche con la nascita prima di un bambino, poi di una bambina, figli di Ambra. Anche se in galleria da tempo ci sono nuovi collaboratori, adesso Piera e Ambra sono sole. E per madre e figlia non è facile lavorare insieme: Piera ha un carattere irruente, Ambra è più riflessiva. In comune hanno la passione per il loro lavoro e il ricordo di un uomo che ha insegnato molto a entrambe. Le decisioni si prendono insieme anche se spesso Piera le prende al galoppo e Ambra a volte è più recalcitrante. L’impostazione è ormai consolidata: il Vicolo Uno mantiene le caratteristiche originarie di esposizione grafica: Braque, Chagall, Capogrossi, Masson.. Il Vicolo Due alterna mostre di illustratori come Crepax, Folon, Zavrel, Testa, Echaurren, Fedriani a esposizioni di disegni di Picasso, tele di Carmi e Licata, disegni di architettura futurista di Prampolini. Il Vicolo tre accentua lo spirito della bottega con mostre di ceramiche di Carlè, Lorenzini, Biavati, di arazzi e tappeti di Nespolo, Reggiani, Depero, Balla e con la vendita di grafiche di propria edizione.
Si lavora con divertimento e impegno. Il denaro serve per vivere e per far vivere la galleria. A volte non si può fare quello che si vorrebbe, come nel caso della mostra di grandi e bellissime tele di Gastone Novelli, quando non viene venduta una sola opera del grande artista e Piera e Ambra a loro volta non hanno la possibilità di acquistarne. Oltre all’attività in galleria, si organizzano mostre esterne come quelle con il comune di Pontremoli in occasione di diversi premi Bancarella di Luzzati, Costantini, Thole o come la grande mostra di Luzzati con il Comune di Reggio Emilia.

 

Allestimento della mostra di Emanuele Luzzati a Villa Gavotti in collaborazione con il comune di Albisola, 1984
Emanuele Luzzati, San Giorgio e il drago, collage e pastelli a cera su tavola, 1987

Ambra introduce in galleria una poltrona da scrivania e la sostituisce allo spartano cubo di legno, gesto considerato da Piera di grande lassezza. Lei è sempre come un motore in movimento: si affaccia alla finestra della galleria e pensa a quanto sarebbe bello un po di teatro in piazza e la settimana dopo organizza con il Teatro della Tosse uno spettacolo in cui oltre a pagare gli attori, le tocca pagare la prostituta che lavora in piazza per l’interruzione dell’attività; osserva la povera Santa Caterina dell’edicola votiva di Piazza Pollaiuoli tutta grigia di smog e sporcata dai picconi e decide di farla restaurare. Tenere il suo passo è un’impresa non meno impegnativa della gestione dell’impresa stessa: si perchè, nel frattempo, il mondo ha cambiato il modo di esprimersi e tutto a un tratto Ambra e Piera si ritrovano, non più a mandare avanti una galleria come due galleriste, ma a “gestire un’impresa” come due “donne manager”. Di aver assunto questo ruolo non si erano accorte, ma del fatto che il lavoro sia cambiato e si sia fatto un pò più complicato si.
Organizzare le mostre è più impegnativo e richiede più tempo, oltre che maggiori sforzi finanziari. E l’unica forma di società che accettano è quella fra loro due. L’attività comunque si è ampliata. Una parte della galleria, il Vicolo Tre, ormai funziona quasi come un bookshop di un museo, con la vendita di opere grafiche e di oggetti d’arte legati agli artisti che espongono in galleria. Si affianca anche un piccolo laboratorio di cornici. Inoltre si è anche incrementata l’attività di editoria d’arte con le Edizioni Il Vicolo. Dai vecchi pieghevoli dal formato stretto e lungo nasce una collana di cataloghi progettati dal grafico Andrea Rauch. A volte sono accompagnati da edizioni di grafica dell’autore del catalogo. Rappresentano bene lo stile della galleria, sembrano dei piccoli libri e piacciono agli artisti.

 

Eugenio Carmi, Quadrato vestito a festa, arazzo lavorato a mano, 1984

Riccardo Licata, dipinge in galleria in occasione della sua mostra Musiche, 1990
Franco Angeli, Livia, acrilico su carta, 1976

I venticinque anni di attività festeggiati con una mostra sul Futurismo con interventi di letture e cena futurista, arrivano e passano. Il centro antico di Genova come aveva previsto Alf è cambiato. Palazzo Ducale è diventato sede di mostre pubbliche, la Facoltà di Architettura ha trovato la sua sede in Sant’Agostino, come il Teatro della Tosse e i vicoli adesso sono più animati. La piazzetta davanti alla galleria, senza macchine posteggiate è davvero una piazzetta e nella salita è bello fare colazione in quello che era un equivoco bar dalle piastrelle in maiolica, che lo sporco rende opache e adesso all’onore del suo nome di “Bar degli Specchi”.
Nonostante gli inviti alla calma rivolti da Ambra alla madre che, appena si libera un negozio nei paraggi ha subito in mente qualche nuova attività da intraprendere, è Ambra ad agire d’impulso quando il panificio di Salita Pollaiuoli accanto al Vicolo Tre si sposta: il locale è ampio, con una vetrina che da sulla strada e può essere collegato alla galleria. Nel dicembre del 1999, utilizzando per l’invito il disegno di un omino panciuto che richiama l’attenzione con un megafono, tratto da un’illustrazione di Alf del 1928, si inaugura il nuovo spazio. La panetteria che si è spostata di fronte alla galleria vede così dal suo negozio l’installazione di Piero Gilardi “Acqua Virtuale”, con la complessa apparecchiatura che attraverso il respiro della persona che la indossa fa scrosciare una cascata virtuale, assiste alla sistemazione del grande libro di due metri per due di Emilio Isgrò che viene ripetutamente spostato con grandi sforzi prima di trovare la sua definitiva collocazione, osserva la copertura delle pareti della galleria di centinaia di disegni di Stefano Ricci, si esaspera al rumore della sega circolare usata da Maurizio Dusio per assemblare le sue grandi tele, resta decisamente interdetta nel vedere alle otto del mattino due persone che dormono nella loro camera da letto in vetrina nella pièce teatrale “The diary Project” dei due performer Renato Cuocolo e Roberta Bosetti. È la vita della galleria: passare tre giorni a montare una mostra di disegni da puntare con gli spilli su un muro di pietra, inseguire i tipografo e pregarlo in ginocchio di consegnare il catalogo alle cinque e mezzo del pomeriggio, visto che l’inaugurazione sarà alle sei, rendersi conto la sera prima dell’inaugurazione che qualcosa nell’allestimento non funziona e rifare tutto da capo, accorgersi che chi ha pulito la teca di plexiglass l’ha fatto così bene da aver buttato via il foglio accartocciato che c’era dentro  e ritrovarsi con la testa nel cassonetto a cercare un Rotella.

 

 

 

Enrico Baj, Maternità, meccano, multiplo, 1973

Ma è anche l’alternarsi di storie che entrano nella storia della galleria e delle persone che ci lavorano, di linguaggi artistici diversi che ogni volta trasformano lo spazio. Il disegno dell’omino panciuto di Alf sembra voler amplificare queste voci con il suo megafono. Anche il cuore trafitto che ostenta sul panciotto piace ad Ambra e Piera: non è con la passione che si affronta il lavoro? Dopo una serie di apparizioni volanti l’omino con il megafono si sistema sopra la scritta Il Vicolo e diventa il nuovo marchio della galleria.
La storia, quarant’anni dopo, diventa storia di oggi e storia da farsi. Per una sorta di discendenza matrilineare la figlia di Ambra, Martina, ha deciso di proseguire l’attività della madre e della nonna. Forse altrove? L’amore per la propria città e per il proprio lavoro si può portare in giro per il mondo e comunque per lei è ancora presto per saperlo. Il figlio, Stefano, guarda un po’ più a distanza, ma pronto ad appoggiare le sue donne. La storia dunque continua. E lo sgabello-scaletta è sempre in galleria.

Ambra Gaudenzi

Allestimento della mostra di Emilio Isgrò Insetti e filosofi, installazione Le api della Torah, 2004
Mostra di Maurizio Dusio in corso di allestimento, 2007
Invito della galleria con disegno di Alf Gaudenzi, 1999

Mostra di Anna Moro-Lin, Muri d’acqua, Installazione, 1996
Inaugurazione della mostra di Floriano Bodini, Bodini con Ambra e Piera, 2002
Mostra di Marcello Chiarenza, 2006

Marcello Chiarenza, Dormisveglia, bronzo, 2007
Piero Gilardi, Pesche gialle, poliuretano espanso, 2006

Inaugurazione della mostra di Emilio Isgrò, Insetti e filosofi, 2004
Emilio Isgrò con Guido Ziveri e Germano Beringheli, 2004
Emilio Isgrò, Formiche catalane, acrilico su legno, 2000
Emilio Isgrò, Il nome di Dio, acrilico su tavola, 1996

Allestimento della mostra di Stefano Ricci, Sketchbook/3, 2004

Inaugurazione dela mostra di Lucio Del Pezzo, Russia. Del Pezzo con Piera, Paolo Minetti, Martina Gagliardi, Ambra, Arnaldo Bagnasco, 2004
Lucio Del Pezzo, San Pietroburgo II, collage e acrilico su cartoncino, 2004
Lucio Del Pezzo, Eventi, collage e acrilico su cartoncino, 2004

Inaugurazione della mostra di Concetto Pozzati, Frammenti di memoria, 2004
Allestimento della mostra di Concetto Pozzati  con Concetto Pozzati, Luciano Caprile, Roberta Olcese e Piera, 2004
Concetto Pozzati, Recitazione, tecnica mista su cartoncino, 2004

 

Allestimento della mostra di Maurizio Dusio
Mirko Baricchi, Mostra allo specchio, 2000
Maurizio Dusio, Ohnezeit, tecnica mista su forex, 2007
Mirko Baricchi, Pinocchio, tecnica mista su tela, 2007

Alf Gaudenzi, Mostra estiva, disegno e collage