Nato a Roma nel 1941, ha fatto il cronista di nera, l’art director pubblicitario, il grafico editoriale e lo sceneggiatore cinematografico.
E’ entrato poi a Repubblica dove ha scritto e disegnato fin dal 1976 e dove fa una vignetta quotidiana sulle pagine degli editoriali.
Del giornale ha anche progettato la versione online.
Laureato in storia dell’arte, ha vinto il premio di satira Forte dei Marmi per il giornalismo (1986), per il disegno satirico (1990) e il Premiolino. Ha pubblicato due libri di storia per bambini e sei (tre per Mondadori) di raccolte delle sue vignette.
Chi è Massimo Bucchi?
La persona è squisita, d’una gentilezza timida, d’una dolcezza perentoria e insieme mansueta, d’una curiosità non esibita ma interiormente fervida. Ma qui interessano le sue capacità espressive, quelle cioè che vediamo e leggiamo sulla pagina. La persona che sta dietro può servire solo come precedente antropologico, il giudizio ha invece come oggetto l’opera, autonoma rispetto al suo autore. Perciò la domanda va rettificata: che cos’è l’opera di Massimo Bucchi? Disegno? Pittura? Mixage tecnologico? Satira illustrata?
Ne parlo perché sono stato per quasi vent’anni alle prese con l’opera quotidiana di Bucchi, “vignettista satirico” di Repubblica. E quindi ne ho cognizione dall’interno, se così si può dire.
I vignettisti satirici che hanno avuto spicco in questi anni non sono molti: Altan, Forattini, Giannelli, Staino. E Bucchi.
Forse ne dimentico qualcuno e me ne scuso, ma credo che questi cinque siano rappresentativi e tutti di alta qualità. (…)
Ma Bucchi è diverso da tutti questi suoi colleghi. Bucchi è surreale, la sua satira ha bersagli imprevedibili, i suoi strumenti sono paradossalmente modernissimi e ottocenteschi. Figlio di un musicista, è al tempo stesso un compositore e un primo violino.
Diciamo che Bucchi è imprendibile: il massimo dell’astratto e il massimo del figurativo uniti insieme. La sua satira fa ridere, fa pensare, è liberatoria, è inquietante, è allusiva. Non aggredisce il luogo comune ma lo sorvola e lo aggira. E’ appassionatamente gelido o se volete gelidamente appassionato. Lavora con la matita e col computer. Nella sua estrema compostezza illustrativa nasconde un tratto di ferocia che a volte si fa largo tra quei volti di gentiluomini in tubino e colletto inamidato o tra quegli scenari macchinistici alla Piranesi.
Qualche volta gli proposi di pubblicare le sue vignette sulla prima pagina del giornale ma rifiutò: la prima pagina – rispose – lo avrebbe snaturato, l’avrebbe in qualche modo obbligato a compromessi comunicativi che non facevano parte della sua natura espressiva. Aveva ragione lui, naturalmente. Bucchi merita più di quanto non abbia già ricevuto, ma credo che il successo e il riconoscimento del mercato siano obiettivi che gli importano assai poco. C’è in lui una grande umiltà e anche, diciamolo, un orgoglio luciferino. Gli auguro tutto ciò che desidera ma, pur conoscendolo bene, quello che veramente desidera io non lo so. Forse non lo sa nemmeno lui. Perché Bucchi è un enigma.
Eugenio Scalfari
Da: Max Media, Genova 2002, Le Mani.